giovedì 7 febbraio 2013

La famiglia Fang - Kevin Wilson

Titolo: La famiglia Fang (originale: The Family Fang)
Autore: Kevin Wilson

Editore: Fazi, 2012

Traduzione: Silvia Castoldi

Pagine: 397

Prezzo: copertina rigida € 18,00







Caleb e Camille Fang sono sposati e hanno deciso di fare della propria vita uno spettacolo continuo, nel quale hanno coinvolto da sempre anche i due figli, due bambini, Annie e Buster. A e B – come li chiamano i genitori, spacciandoli per nomi d’arte – sono parte integrante delle loro continue e assurde performance caratterizzate da un intento provocatorio nei confronti del pubblico il quale – di volta in volta – si ritrova, ignaro e in situazioni ordinarie, ad assistere ad eventi che creano confusione e lasciano il segno. Uno dei set privilegiati dai Fang è il centro commerciale, dove possono sbizzarrirsi e inscenare meglio le loro “sceneggiature” e dove il pubblico passivo è sempre presente. Spesso, nelle messinscena recitano la parte di persone estranee tra loro e si calano perfettamente nel personaggio. Il risultato ultimo delle loro performance è una perplessa e sbalordita confusione tra chi vi ha assistito e la loro intima soddisfazione di aver generato caos, di aver smosso le acque. Perché questo? Per puro amore verso l’arte. Sì, perché i Fang hanno sempre in bocca questa parola. Arte, arte, arte. Amore per l’arte. I signori sono artisti, mica ciccia. Sono artisti e sono fieri di esserlo. Sono fieri di aver dato se stessi e i loro figli alla mamma arte. Non importa se privano i figli di una vita normale, tranquilla. Non importa se li privano di genitori normali. Non importa neanche se non hanno dato ai loro figli alcuna possibilità di scelta. Sono, anzi, estremamente convinti che i bambini siano stati fortunati perché figli dell’arte in quanto figli loro.
Eh beh, sì. Come dire che due più due fa quattro, no? Sorvoliamo. Due personcine che tutti vorrebbero avere come genitori, insomma.

Durante l’adolescenza di Annie e Buster, succede qualcosa che fa decidere i ragazzi per l’allontanamento definitivo dai genitori. Caleb e Camille, infatti, superano il limite durante un’occasione ben precisa, che verrà svelata a storia inoltrata.

Ormai adulti, i due ragazzi si destreggiano tra gli eventi delle rispettive vite, finalmente liberi da tempo dalla presenza opprimente e totalizzante dei genitori. Annie è diventata un’attrice, mentre Buster ha scritto un paio di romanzi. Un giorno, però, a causa di un incidente, Buster si trova a dover tornare a casa per la convalescenza e Annie, vista la sua situazione abbastanza problematica sia sul piano lavorativo che su quello sentimentale, si lascia convincere dal fratello e decide alla fine di correre in suo aiuto per non lasciarlo solo coi genitori e torna a casa anche lei.

I genitori sono naturalmente invecchiati, eppure l’incubo ricomincia nel momento stesso in cui si ritrovano di nuovo tutti e quattro insieme. Proprio come ai vecchi tempi. Caleb e Camille si illudono che tutto possa tornare come un tempo – una botta in testa no, eh? – e sono al settimo cielo. Cercano di coinvolgere da subito i figli in una nuova performance, che però non finisce come previsto e falliscono. 

Qualche giorno dopo, si verifica l’evento cardine della storia. Quello che rappresenta la svolta e il turning point del libro. I genitori scompaiono in un modo che non lascia presagire nulla di buono. A quel punto i ragazzi sono sballottati tra i pensieri più disparati e mentre la polizia crede in una tragedia, Annie è fermamente convinta che sia l’ennesima messinscena e che lei e Buster non abbiano scampo. Devono per forza prendere parte al “gioco”. Inizia il viaggio dei due fratelli, l’incontro con un personaggio che potrebbe aiutarli e la scoperta di alcuni fatti. La fine del viaggio corrisponderà alla scoperta di numerose verità.  


Il mio giudizio personale è positivo. È un racconto strano, innanzitutto per il modo in cui è scritto. Ha uno stile asciutto, non pretenzioso, semplice e senza inutili fronzoli. Forse non è una scrittura molto affinata e ricercata, ma è spontanea e sa essere introspettiva in modo diverso dal solito e questo mi è piaciuto. Ho apprezzato il fatto che non è uno di quei libri che ti fa pensare che se avessee occupato la metà delle pagine impiegate sarebbe stato meglio. Strano anche e soprattutto per la storia non convenzionale, i contenuti e le tematiche. Sebbene all’inizio alcuni potrebbero faticare ad ingranare, una volta inserita la marcia giusta si comincia ad entrare nel vivo degli eventi fino ad arrivare verso metà libro, dove la svolta fa sì che da quel punto in poi sia difficile non essere curiosi di sapere cosa accadrà dopo.

La struttura del romanzo è divisa in due piani temporali, infatti si alternano capitoli in cui leggiamo dei flashback – precisamente, di volta in volta l’autore racconta una performance della famiglia Fang, partendo dagli anni in cui Annie e Buster erano bambini – a capitoli in cui leggiamo della vita attuale dei ragazzi e continuiamo a seguirli nel corso degli eventi. Penso che questo tipo di scelta sia congeniale alla storia. In questo modo, infatti, ci destreggiamo senza problemi tra eventi del passato, ciò che hanno provocato e le loro conseguenze sul presente e sui componenti della famiglia. Mi è piaciuta la scelta dei titoli dei capitoli sulle performance, ma non svelo nulla.

Inizialmente si fa fatica ad inquadrare i personaggi di Annie e Buster adulti e la loro caratterizzazione sembra carente, ma man mano che le istantanee del passato si avvicinano al presente ci appare sempre più chiara la loro personalità.
Annie ha solo due anni più di Buster, ma si comporta da sorella maggiore a tutti gli effetti, da sempre. Lo protegge, lo conforta e assume la guida anche nell’età adulta. Quasi a sopperire le mancanze date dal comportamento dei genitori. Sembra sempre lei la più forte.
Un aspetto molto importante, questo del rapporto tra i due fratelli. L’autore riesce a trasmettere costantemente la loro unione fin dall’infanzia e la loro tacita rassegnazione/consapevolezza rispetto alla situazione familiare. Questi due ragazzi sono stati fin da bambini vittime di genitori che definire sopra le righe sarebbe usare un eufemismo. Tutto in nome di cosa? Ah, sì, dell’arte. Per quanto si possa essere appassionati d’arte - o forse proprio se lo si è – si inorridisce nel leggere di determinati atteggiamenti, convinzioni o dialoghi dei genitori
Non ci si capacita di come possano essere così ottusi. Sono due personaggi che avrei volentieri preso a cartoni per quasi tutto il libro. La bravura di Wilson, a mio parere, è stata proprio quella di trasmettere queste sensazioni. Se la sua intenzione fosse quella di trattare l’argomento con un approccio di “denuncia”, direi che ci è riuscito. Coniuga la leggerezza negativa, l’ingenuità, l’ego dei genitori e ciò che fanno nella vita con le conseguenze che le loro azioni e le loro scelte hanno avuto sui loro figli. Questi due individui hanno completamente spersonalizzato i figli fin da bambini. Hanno imposto la loro scelta di vita e li hanno fatti sentire in dovere di partecipare a qualcosa a cui non avrebbero mai potuto sottrarsi solo per il fatto di essere nati in quella famiglia. Hanno privato i figli del loro individualismo e della loro identità, detto in altre parole. 

Se decidete di leggere questo libro, vi capiterà di assistere a scene assolutamente assurde e vi verrà parecchio nervoso. Vi pruderanno le mani. Insomma, avrete voglia di prendere a cartellate quei due deficienti, su. 

Una breve riflessione sulla copertina, a questo proposito. Sono stata attirata proprio da quella e dal titolo. Un’illustrazione semplice, colorata, ma strana. Interessante, ma con un che di inquietante. Fa presagire in modo efficace l’essenza della famiglia e della scelta di vita di Caleb e Camille imposta ai figli. Sulla copertina Annie e Buster, infatti, sono ritratti con due maschere. Il loro viso non si vede. Sono privi di una vera identità.

Il finale è a sorpresa e, anche lì, la voglia di prenderli a schiaffoni mi è rimasta. Lieto fine per i ragazzi che, almeno – non dico come, non dico cosa, non dico perché – riescono finalmente a liberarsi di questi due genitori ingombranti e a dare un taglio netto con la vita insieme a loro.

P.s.: tarlo personale. Fin dall’inizio, visto il contesto di vita familiare e la particolarità della storia, ho subito pensato che la scelta del nome di Buster fosse dovuta al grande Buster Keaton, uno dei maestri del cinema comico muto. Nel corso del libro poi, viene infatti citato un paio di volte in un altro contesto. Nessuno mi toglie dalla testa che il furbastro Wilson abbia scelto quel nome di proposito. Diventa palese.













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